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Mafia garganica, boss Ricucci ucciso sotto casa a Monte Sant’Angelo

Il 45enne al vertice del clan Lombardi-Ricucci è stato freddato a fucilate

Sono una decina gli stub eseguiti su altrettanti pregiudicati nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Pasquale Ricucci, detto ‘Fic Sic’, ucciso ieri sera a Macchia, frazione di Monte Sant’Angelo, nel Foggiano. L’uomo, un pregiudicato 45enne, è stato raggiunto al torace da nove colpi di fucile calibro 12 caricato a pallettoni sparati da almeno due sicari.
Nella notte gli investigatori hanno anche eseguito una quindicina di perquisizioni e ascoltato parenti e persone vicine alla vittima.

Ricucci è ritenuto dagli inquirenti elemento di spicco del clan Lombardi-Ricucci-La Torre, erede dei Romito, da sempre in lotta con il clan Li Bergolis-Miucci, detto dei ‘montanarì.
L’agguato di ieri segue quello avvenuto il 21 marzo scorso quando a Mattinata venne ucciso Francesco Pio Gentile.

LA DINAMICA – Lo hanno ucciso sotto casa, a fucilate. È stato assassinato così stasera Pasquale Ricucci, di 45 anni, alias «fic secc»presunto elemento di elemento di spicco di un clan mafioso del Gargano. L’omicidio è stato compiuto in via San Pietro, nella frazione ‘Macchia’ di Monte Sant’Angelo. L’uomo è ritenuto dagli investigatori al vertice del clan Lombardi-Ricucci-La Torre, erede dei Romito, da sempre in lotta con il clan dei ‘montanari’ Li Bergolis-Miucci. A quanto si apprende l’uomo era a piedi quando è stato raggiunto da una raffica di proiettili. Almeno nove i colpi sparati dai sicari. Sul posto stanno operando i carabinieri del reparto operativo che attendono l’arrivo del medico legale.

Pasquale Ricucci ha precedenti per detenzione e porto abusivo di armi e il suo delitto potrebbe essere inquadrato nella sanguinosa faida del Gargano. Una guerra tra clan che ha provocato negli anni decine di morti e tanti casi di lupara bianca. Finora, nonostante l’impegno di investigatori e magistratura, nessuno è riuscito ad assestare il colpo mortale ai clan garganici perché l’omertà e l’assenza di ‘pentitì non hanno fatto emergere quelle smagliature che persino la mafia siciliana ha subito.

Forse è per questo che l’80 per cento dei 300 delitti di sangue (fonte Csm) che dagli anni Ottanta ad oggi sono attribuibili alla mafia del Foggiano «sono ancora irrisolti», cioè senza un colpevole. Come il quadruplice omicidio dell’agosto 2017 a San Marco in Lamis, dove furono uccisi il boss Mario Luciano Romito, suo cognato e due contadini, forse ritenuti testimoni scomodi dell’agguato. Nell’impenetrabile territorio del Gargano gli affari si fanno soprattutto con il traffico di droga e le estorsioni.

Gli imprenditori vittime del ‘pizzò negli ultimi anni sembrano essersi addirittura sottomessi alla volontà dei clan: spesso sono loro stessi a recarsi dal mafioso per pagare il pizzo, anticipandone la richiesta.
E pensare che tutto è cominciato molti decenni fa con una faida tra pastori che si contendevano il controllo del territorio. Famiglie che nel tempo si sono trasformate in agguerriti clan mafiosi.

Inizialmente a governare c’erano i “montanari», con a capo le famiglie Libergolis e Romito che comandavano nella zona di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata e che estendevano il loro potere criminale anche a Vieste e San Nicandro Garganico, San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo e Rignano Garganico. I vari processi hanno sfaldato questa alleanza dando il via ad una guerra senza fine. Il fronte più caldo a Vieste, dove dal gennaio 2015, quando venne ucciso il boss Angelo Notarangelo, all’estate 2019 ci sono stati una quindicina tra omicidi, agguati falliti e lupare bianche tra i clan Raduano e Perna, un tempo alleati. Al momento sono una mezza dozzina i clan censiti dalla Dia nel Gargano.

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