“Sono coinvolto in oltre 10 omicidi, di cui 5 commessi in prima persona”: ha confessato il suo ruolo di primo piano nella sanguinosa guerra tra clan della mafia garganica l’ex boss Marco Raduano, catturato il 2 febbraio scorso in Corsica dopo un anno di latitanza, a seguito di una rocambolesca fuga dal carcere di Nuoro, e da circa tre mesi diventato collaboratore di giustizia.

Conosciuto come “Pallotta” negli ambienti criminali, l’ex boss ha deposto in videoconferenza da una località segreta, nell’ambito di una tranche del processo “Omnia Nostra”, celebrato dal Tribunale di Foggia e che vede alla sbarra 24 imputati. Raduano ha risposto per oltre tre ore alle domande dei Pubblici Ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia Luciana Silvestris e Ettore Cardinali. Ha ammesso innanzitutto di essere stato a capo del clan di Vieste che porta il suo nome, alleato dei Romito-Lombardi-Scirpoli e in guerra con il gruppo degli Iannoli-Perna.

Tra gli efferati omicidi confessati, quello di Angelo Notarangelo detto “Cintaridd”, storico boss di Vieste, ucciso nel gennaio 2015 allo scopo di prendere il suo posto. Il collaboratore di giustizia ha ammesso il coinvolgimento anche nella lupara bianca di Pasquale Notarangelo, nipote di Angelo, eliminato e fatto sparire nel maggio 2017, con l’intento di azzerare completamente la famiglia Notarangelo.

Tra i delitti confessati in aula anche quello di Gianmarco Pecorelli, ammazzato nel giugno 2018, in quanto ritenuto schierato con gli Iannoli-Perna. Raduano ha ribadito d’essere uno degli assassini di Giuseppe Silvestri, ucciso a colpi di lupara a Monte Sant’Angelo il 21 marzo 2017 da un commando. Il boss ha dichiarato di essere direttamente coinvolto anche nell’omicidio di Omar Trotta, assassinato nel suo ristorante di Vieste il 27 luglio 2017, in quanto ritenuto legato al clan rivale. L’ex boss ha ammesso inoltre di aver preso parte anche ai tentativi di omicidio Giovanni Caterino ed Emanuele Finaldi.

Dopo aver ricostruito la sua scalata ai vertici della mafia garganica, Raduano ha anche spiegato i motivi che lo hanno spinto a collaborare con la giustizia: “Per dare un futuro migliore a mio figlio – ha dichiarato il vecchio boss – perché ho subito vari tentativi di omicidio e perché mi sono stancato di fare questa vita di delitti e latitanze”.