Dichiarazioni che hanno del clamoroso, rese da un pentito della mafia garganica, Matteo Pettinicchio, nello scorso 18 febbraio al pm della Direzione Distrettuale Antimafia, Ettore Cardinali ma non più segrete, in quanto depositate nel processo “Mare e Monti” che portò, ad ottobre scorso, a 41 arresti di elementi ritenuti parte del clan Libergolis-Miucci. Le rivelazioni del collaboratore di giustizia fanno riferimento alla cosiddetta strage di San Marco in Lamis del 9 agosto del 2017, in cui persero la vita il capo clan rivale Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e due agricoltori, i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, ritenuti innocenti e che si trovavano sul luogo della strage casualmente e per motivi di lavoro. Ipotesi, quest’ultima, che Pettinicchio sconfessa. Per quelle che sono le sue dichiarazioni, ovviamente tutte da verificare, i fratelli Luciani non furono dei semplici testimoni involontari, conoscevano bene Romito e per quanto affermato da Pettinicchio, proprio Romito, su invito dei fratelli Luciani, li stava seguendo per un appuntamento in campagna dove avrebbero dovuto incontrare uno dei storici boss della mafia foggiana, Rocco Moretti, alleato proprio di Romito. Pettinicchio ha poi ricostruito anche le fasi di quella strage: per il pentito, gli esecutori di quella mattanza sarebbero stati Enzo Miucci, Roberto Prencipe, Saverio Tucci e Girolamo Perna, con Giovanni Caterino che sarebbe stato il basista. I killer, travisati con sottocaschi, spararono colpi di fucili e di kalashnikov. Per questa vicenda fu arrestato e condannato all’ergastolo il solo Caterino, mentre per gli altri non ci sono stati risvolti penali. Due dei quattro indicati da Pettinicchio, Saverio Tucci e Girolamo Perna, sono nel frattempo morti ammazzati.