«Abbiamo scalato una montagna a mani nude nel pieno di una tempesta. Le difficoltà non ci hanno intimorito e più di qualche risultato resterà nella storia di Palazzo di Città ed il futuro ce ne darà merito». Così il sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice, sulla sua pagina Facebook, dopo aver appreso di essere stato sfiduciato fuori dall’aula del consiglio comunale, con le dimissioni contestuali firmate davanti a un notaio da 14 consiglieri, 5 dei quali della coalizione di centrodestra che lo aveva eletto 22 mesi fa.

«Sono stato un sindaco che sin dal primo giorno ha rinunciato interamente alla sua indennità per destinarla alle fragilità sociali (circa 50mila euro l’anno), a ogni tipo di rimborso (muovendomi con la mia auto personale) e riducendo staff (da cinque a una unità) e consulenze. Non sono un politico di professione e non ho intrapreso questo percorso da sindaco per diventarlo», ha sottolineato. «Sono stato un sindaco di rottura, ho scoperto i coperchi di troppe pentole, sono stato troppo con la schiena dritta. Lo so e non me ne pento. Vado a casa a testa alta. Manfredonia aveva bisogno di discontinuità e energie nuove per ripartire davvero, evidentemente non era l’obiettivo principale e l’interesse anche di qualcuno a me vicino», ha detto ancora.

«Con caparbietà e con scelte impopolari, siamo venuti a capo di diverse ed ingarbugliate questioni amministrative che affannavano l’operatività della tecnostruttura. Un Comune in riequilibrio finanziario per 30 milioni di euro fino al 2046 e che ereditava un commissariamento per scioglimento per mafia», ha aggiunto.

«Non ho nulla da recriminare sul mio operato, ma tante cose da raccontare ai cittadini. Lo farò presto con la mia solita schiettezza e semplicità. Andare a casa per un patto tra chi è al governo e le forze di opposizione è innaturale, ma forse è uno degli episodi più “normali” tra quelli accaduti», ha concluso Rotice.